Centro Studi MB2

Monte Bianco-Mario Bergamo, per dare un tetto all’Europa ETS

AFGHANISTAN AB INITIO

AFGHANISTAN “AB INITIO”
di Antonio Bettelli

Riguardo all’Afghanistan e alla missione politico-diplomatica e militare dell’Occidente nel martoriato Paese asiatico, se vi è un errore, e probabilmente ve ne sono tanti, questo va ricercato “ab initio” dell’intero processo, non solo cronologicamente, ma soprattuto nei principi che sono alla base dell’esercizio della forza politico-militare di cui l’Occidente si è fatto autore attraverso l’invocazione senza precedenti dell’articolo V del Trattato Nordatlantico dopo l’attentato subito in terra americana l’11 settembre del 2001.
Facile e  inutile limitare l’analisi ai fatti di oggi; banale lamentare le inadempienze della NATO dopo vent’anni di denaro e di sangue spesi a sanare un problema forse irrisolvibile per propria originaria natura; opportunista ricordarsi dell’amico, del conoscente, dell’interprete oggi abbandonati a un destino spietato; scontato lamentare l’assenza di una strategia ammantandosi di autorevolezza, geopolitica o militare che sia;  ipocrita piangere il ritorno a uno stato di arretratezza che vedrà ancor più e ancora una volta soffrire la parte debole della società. La foga dei talebani, crudele e vendicativa,  ha saputo attendere vent’anni per la sua realizzazione, e  risiede nelle logiche difficilissime di una terra irrisolta nei suoi fondamenti antropologici ai quali l’Occidente altro non ha fatto che aggiungere il proprio carico d’interesse, vuoi per vendicare gli effetti di una recrudescenza islamista che raggiunse il suo paradosso mortale nel cuore di Manhattan, vuoi per scongiurare l’utilizzo della terra di mezzo tra Russia, Iran, Oriente e subcontinente indiano quale luogo protetto per il terrorismo internazionale, vuoi per arrestare i flussi migratori a carico dell’Europa, vuoi per arginare il narcotraffico planetario di oppio, vuoi per ovviare a un modello sociale che relegava le donne al ruolo di schiave e sovente anche quello dei bambini.
Il punto è che queste numerose ragioni sono diventate, in un certo momento della campagna militare in Afghanistan, pretesto per continuare a usare la forza politico-militare che da prerogativa legittima si è trasformata in arroganza. Pretesto per perseguire interessi egemonici, pretesto per riprendere alla mano progetti energetici dal potenziale di ricchezza inimmaginabile, pretesto per sperimentare nuove tattiche di combattimento e di utilizzo di tecnologie di potenza, pretesto per non affrontare le proprie responsabilità nell’ammettere l’adozione di un modello prevalentemente incardinato sull’uso della forza militare e soggiogato alle amenità di una democrazia occidentale inadatta alla variegata giungla etnico-tribale afgana.
Nel trasformarsi in pretesto le ragioni “ab initio” risuonano ipocrite. La politica nazionale e quella internazionale hanno fallito nel non adempiere alla propria alta responsabilità. Esse non dovrebbero infatti mai abbandonare la leadership dei processi tecnici e rinunciare a condurne lo sviluppo a tutela dei principi fondatori dell’impegno.
Per l’Afghanistan, la politica internazionale espressa in particolare in seno all’Alleanza Nordatlantica non ha saputo cogliere il fallimento dell’Occidente capitanato dagli Stati Uniti, i cui interessi egemonici e opportunistici erano divenuti molto presto l’unica guida della missione militare e delle decisioni politiche ascendenti da quelle finalità, non ultimo anche della decisione ultima del ritiro militare, ritiro che ancora una volta è stato pattuito col nemico. Le politiche nazionali si sono rimesse a quegli interessi, e così ha fatto ogni Nazione il cui ruolo sia sussidiario del ruolo primogenito degli Stati Uniti. Così non da meno ha fatto l’Italia, uno dei maggiori partner di questa missione ventennale, la quale ha agito, al pari di molti altri, secondo i propri interessi o in conformità ai propri voluti disinteressi, talora quindi soggiogandosi alle blandizie di un apparato che in Afghanistan vedeva il trionfo di un’etica militare per molti anni negletta oppure, a seconda dei casi, voltandosi dall’altra parte quando i clamori degli attentati ai danni dei nostri soldati (53 i caduti) o quelli delle battaglie di trincea negli avamposti polverosi delle valli semi desertiche della regione occidentale diventavano un problema troppo grande per la politica interna nazionale, spesso distratta dai propri interessi di bottega e quasi sempre inetta innanzi alla portata planetaria del problema afgano.
Nessuno ha deciso, tutti hanno assecondato, fino all’ultimo, fino al ritiro da non vincitori concordato con i Talebani, proprio con loro, con il nemico che avrebbe dovuto essere nemico di tutti e a detta di qualcuno per sempre!