Centro Studi MB2

Monte Bianco-Mario Bergamo, per dare un tetto all’Europa ETS

4 NOVEMBRE

4  NOVEMBRE
di Antonio Bettelli

 

Le origini della celebrazione del 4 novembre sono note, ma rammentarne le circostanze storiche a pochi giorni dalla ricorrenza può essere utile per analizzare il valore che la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate” ancora oggi possiede.

In particolare, la definizione qui ricercata è quella volta ad affrontare il tema della celebrazione delle forze armate alla luce degli effetti drammatici che l’uso della potenza militare sta attualmente producendo nei conflitti bellici in Europa e nel Vicino Oriente.

 

Il 4 novembre 1918 fu la data che segnò, con l’armistizio di Villa Giusti, la conclusione della Prima Guerra Mondiale per il nostro Paese. Ciò accadde con una vittoria militare per l’Italia cui fece seguito, l’11 novembre con l’armistizio di Compiègne in Francia, la resa della Germania e la fine della Grande Guerra. Le nazioni appartenenti al blocco della cosiddetta Intesa – Inghilterra, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Giappone e Italia (il nostro Paese si unì all’Intesa nell’aprile del 1915, a guerra già iniziata, mentre la Russia abbandonò lo schieramento nel 1917 come conseguenza della Rivoluzione d’Ottobre) – prevalsero definitivamente sull’alleanza formata dagli Imperi Centrali, tedesco e austroungarico, e dall’Impero Ottomano. La vittoria consentì agli italiani di rientrare nei territori di Trento e Trieste e indusse alcuni osservatori a definire la Grande Guerra come la quarta e ultima Guerra d’Indipendenza italiana, vedendo dunque nella conclusione del conflitto e nei suoi sviluppi il completamento del ciclo risorgimentale per l’unificazione della nazione iniziato nel 1848.

 

Per quasi un quarto di secolo, il 4 novembre fu celebrato in Italia come la “Festa della Vittoria”: una definizione che enfatizzò l’affermazione dei diritti di sovranità e d’identità del popolo italiano, per lungo tempo sottoposto all’occupazione e al controllo di entità straniere e in particolare dell’Impero Austriaco.

 

La conclusione della Grande Guerra ebbe la sua consacrazione nel 1921 con la tumulazione del Milite Ignoto, la cui salma venne scelta da Maria Bergamas – una madre “friuliana”, anzi sarebbe corretto dire “giuliana”, poiché nata a Gradisca d’Isonzo – tra quelle senza identità di undici Soldati caduti durante la guerra. Il Milite Ignoto tumulato all’Altare della Patria rappresenta, con valore collettivo, il sacrificio dei Caduti italiani di tutte le guerre.

 

Con il termine “vittoria” si vollero esaltare le riconquiste dei territori irridenti di Trento e Trieste, ma il riferimento ai confini geografici dello Stato non fu il solo. Una certa retorica adusa ai regimi nati dalla guerra adottò la celebrazione del 4 novembre per rafforzare l’ideale di appartenenza nazionale, per avvalorare la crescita morale degli italiani attraverso la dura esperienza bellica, per esaltare le grandi opere infrastrutturali e lo sviluppo industriale che dal conflitto erano scaturiti, per proclamare il dinamismo connaturato con la modernità, a discapito di un mondo antico associato all’Ottocento. Il fenomeno fu anche culturale e sociale e riguardò l’arte in tutte le sue espressioni: letterarie, pittoriche, scultoree e architettoniche. Il desiderio di guardare al futuro come via promessa per l’umanità dilagò tra la borghesia che vide nel simbolismo futurista il rilancio della Nazione.

 

Si offuscarono, tuttavia, gli aspetti degeneri della guerra: i morti, i mutilati e gli invalidi; le rivendicazioni sociali di tante famiglie private delle risorse umane più adatte al lavoro; l’acuta inflazione monetaria; la polarizzazione del complesso industriale a favore della produzione bellica divenuta d’improvviso superflua; la povertà dilagante tra le masse meno abbienti, ma anche il timore dell’aristocrazia di perdere il primato sociale a fronte delle crescenti rivendicazioni borghesi. Incombevano gli appelli del socialismo provenienti dal bolscevismo russo, sempre più suadenti alla percezione delle insoddisfatte masse popolari gravate dagli effetti della guerra.

 

Sappiamo che la Grande Guerra fu solo il prologo del conflitto successivo, ancora più spaventoso per ampiezza geografica, per numero di morti e di feriti e per livello di distruzione e di atrocità raggiunto dai combattimenti, dalle persecuzioni e dalle rappresaglie. Il sentimento della “vittoria” esaltato dal fascismo attraversò la Seconda Guerra Mondiale e trovò nella nuova tragedia bellica, con la sconfitta materiale dell’esercito e con quella morale della nazione, una nuova definizione.  L’8 settembre 1943 fu l’epilogo della dittatura fascista, già eclissatasi con la delibera del Gran Consiglio del 25 luglio e con lo sbarco anglo-americano in Sicilia, ma lo fu anche per un governo dimostratosi troppo a lungo acquiescente alle velleità di Mussolini e per una casa regnante ignava di fronte alle scelte più scellerate di chi governava la nazione. L’8 settembre originò un anelito di speranza per il popolo italiano. Il clima di guerra civile segnato dalla contrapposizione tra italiani, la resistenza partigiana nelle zone occupate e quella silenziosa degli internati militari italiani nei campi di prigionia germanici, insieme all’avvenuta rigenerazione dell’esercito con la formazione del Corpo Italiano di Liberazione e poi dei Gruppi di Combattimento – tra cui il “Friuli”, di cui le aree di Marradi e del Senio furono teatro dell’impiego in combattimento nella Campagna Militare d’Italia per la liberazione del Paese dall’occupazione tedesca e nazifascista – furono le espressioni del difficile periodo che si originò dalla frammentazione dolorosa dell’8 settembre. Ciò che uscì dalla Seconda Guerra Mondiale, dopo quella tragica epopea, fu un forte desiderio di unità nazionale. La nascita della Repubblica e la definizione di una nuova Costituzione ne sono stati i risultati più emblematici.

 

Da quel momento, la celebrazione del 4 novembre perse la sua enfasi vittoriosa, e il significato della ricorrenza si spostò verso il riconoscimento del valore delle istituzioni militari immolatesi anche a causa delle gravi contraddizioni della politica nazionale e che seppero affermarsi come modello di unione conforme ai principi sanciti dalla Costituzione repubblicana.

 

La ricorrenza del 4 novembre è divenuta, pertanto, la celebrazione della “Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate”. Trovo personalmente che sia di grande valore la scelta di avere associato i due aspetti, a rimarcare che le istituzioni militari repubblicane sono un importante baluardo della coesione democratica della Nazione.

 

Gli accadimenti bellici attualmente in corso in spazi non lontani, sia quello europeo, con la guerra russo-ucraina, sia quello mediorientale, con il conflitto tra Israele e Hamas a Gaza e tra Israele ed Hezbollah in Libano, caratterizzati da efferatezza estrema e dall’uso sistematico di nuovi e potentissimi armamenti, pongono con urgenza pressanti interrogativi e mettono in nuova luce l’idea di militarità. In gioco vi sono i temi della guerra fra i popoli e, con essi, quelli della pace.

 

La dualità dei termini, guerra e pace, assume una valenza di contrapposizione utile al dibattito politico e sociale, e disvela, come sempre accade nei momenti di confronto, l’attitudine politica e socioculturale del popolo. Occorre saper cogliere le sensazioni e i segnali che emergono dal dibattito. Trascurando le posizioni ideologizzate, sia quella roboante di un militarismo nostalgico sia quella colorata di un pacifismo privo di fattuali strumenti persuasivi – posizioni che trovano nella manifestazione degli estremi la loro minoritaria ragion d’essere – il tema della guerra e della pace deve essere affrontato con energia e con onestà intellettuale dalla politica e dal dibattito pubblico. Nel mantenere ben saldi il valore dell’unità nazionale e lo spirito democratico delle Forze Armate, la ricorrenza del 4 novembre può esserne autorevole palcoscenico. Alcuni dettami della Costituzione definita dopo l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale, con la promulgazione del 27 dicembre 1947, ci vengono ancora una volta in aiuto: il principio fondamentale sancito dall’articolo 11, che ripudia il ricorso alla guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e l’enunciato dell’articolo 52 che definisce “sacro dovere del cittadino” la difesa della Patria. In questa solo apparente contraddizione, tra l’inderogabile necessità di difesa e il ripudio della guerra, risiede il cuore del dibattito. Corretto indirizzo politico, deterrenza militare, appartenenza all’Alleanza Atlantica e modello di difesa sono alcuni dei temi che devono trovare spazio nella discussione.

 

La guerra porta con sé morte, distruzione e povertà; ce lo raccontano con chiarezza la Grande Guerra, con l’epilogo del 4 novembre 1918, e la tragica epopea del secondo conflitto mondiale. È evidente dunque che ogni forma di militarità che evochi in nome di una vittoria militare la grandezza della nazione è fuorviante rispetto ai valori di umiltà e di tolleranza sottesi ai principi costituzionali. Al tempo stesso, i proclami rivolti a una pace tanto suggestiva quanto irrealizzabile, in contesti che seppur a noi vicini sono lontanissimi dalla nostra sensibilità e dalla nostra percezione, non solo non rappresentano la soluzione al dramma che ci circonda, ma concorrono ad alimentare una speranza illusoria nell’opinione pubblica.

Politica, dialogo, confronto, salvaguardia dei principi fondamentali della Costituzione e – sempre e ovunque – rispetto della dignità umana sono i connotati che tracciano il viatico del dibattito e del confronto, ancor più quando il tema sia quello del 4 novembre: la “Giornata dell’Unità Nazionale e Festa delle Forze Armate Italiane”.