TRA GUERRA E PACE
di Paola Bergamo
Eraclito sosteneva che “Polemos è di tutte le cose padre, di tutte re” e che la guerra è elemento necessario per la pace, convinto che ordine, stabilità nel mondo, cioè l’armonia, si basassero sull’equilibrio tra opposti senza i quali non esisteremmo neppure noi. Un’illusione perciò anche solo l’idea di una condizione umana vissuta in una eterna pace pur tuttavia quest’ultima rappresentando una costante tensione ideale dell’uomo.
Platone affermava che quella che gli uomini definiscono pace, in verità sarebbe solo un nome perché nella realtà delle cose, e per forza di natura, c’è sempre una guerra, seppur non dichiarata di tutti (gli stati) contro tutti.
Mio Nonno, Mario Bergamo, tanto più le cose vanno a rotoli, tanto più mi sovviene alla mente il suo magistero, ancor prima d’ogni cosa invitava a agire nel nome della giustizia sociale per “non aggiungere al natural dolore” facendo avvisati tutti che “nè il disarmo né gli armamenti garantiscono la pace ma una certa qual giustizia tra gli uomini”.
E del resto Anassimandro sosteneva che l’ingiustizia nasce dal fatto che gli esseri finiti, distaccandosi dall’infinito “innocente” e “pacifico”, sono stati condannati dal tempo , cioè dalla caducità dell’esistenza, ad una lotta, incessante guerra dell’uno che si oppone all’altro per vincere sull’altro. Il principio degli esseri è l’infinito, da lì hanno origine, lì hanno la distruzione secondo necessità poiché pagano l’un l’altro, la pena, l’espiazione, secondo l’ordine del tempo.
Su queste premesse, pur dolendomi di come vanno le cose, non mi hanno certo stupito gli attacchi russi del 28 agosto scorso su Kyiv, una tempesta di missili e droni piovuta sulla capitale ucraina, colpendo, segno infausto, anche la sede europea.
E’ evidente che, sino a quando il Presidente Zelensky e il Presidente Putin non s’incontreranno, cosa che andrebbe agevolata piuttosto che osteggiata, la guerra continuerà in danno e a sfavore dell’Ucraina stante quella che a tutti gli effetti appare una superiorità in campo della Russia .
La Ue, che con i “Willings” vorrebbe esser incisiva e persuasiva, immaginando una forza simil NATO – di “garanzia” – e un articolo simil “5”, di italiana fantasia, finge di non ricordare che il conflitto in Ucraina è però sorto proprio a causa dell’espansione a Est della NATO, con quell’ “abbaiare” alle porte di Mosca di Bergogliana memoria.
Quando le cose mi sembra precipitino, mi viene spontaneo rivolgermi all’amico e nostro sodale Antonio Bettelli, Generale, con all’attivo quarantadue anni di servizio, trascorsi anche in scenari tutt’ora “caldi” nel nostro pianeta. Alla mia domanda su come la vedesse lui, mi ha risposto che oramai “appare con sempre maggiore evidenza come l’Ucraina sia diventato più che altro un pretesto per la ri-centralizzazione dei rapporti europei intorno alla Germania.
E con quella caratteristica che gli è propria, quella del soldato certo, ma anche grande esperto di storia e di uomo che si presenta anche filosofo, aggiungeva che “il destino rinnova il suo richiamo, la storia appare ripetersi, gli ammaestramenti tratti dalle esperienze del passato sembrano dimenticati.”
Insomma, proprio come diceva il Nonno, la Storia non è maestra di vita.
L’Ucraina, ha quindi continuato il Generale, “rimane terreno di contesa tra gli interessi della Russia ortodossa e quelli cattolici del binomio polacco-germanico.”
E’ un qualcosa, a ben vedere, che si ripresenta a “più riprese, poiché in fondo così è sempre accaduto: dai cavalieri medievali teutonici, a quelli del principato polacco-lituano, prima ancora all’orda d’oro di Gengis Khan e dei suoi proseliti atamani, alle lotte intestine tra i principati di Novgorad, Kyiv, Mosca, Tver ecc.” .
Insomma pare proprio noi si sia punto a capo (!) altro che fine della storia, quanto storia infinita.
Alla mia inquietudine riguardo all’alleato e socio di maggioranza della NATO, gli Stati Uniti d’America e al fatto che un impero agisca sempre e solo da impero e ambisca all’egemonia anche quando voglia far credere di chiudersi in sé stesso, il Generale mi ha confermato che in sostanza “l’Amministrazione Trump, perpetrando il “divide et impera” – di romana memoria- persegue esattamente questo e fa leva sulla Russia in chiave anti-cinese e sul binomio germanico-polacco in chiave anti europea. Ma poi accadrà, come già successo in passato– la geografia non mente- che “Russia e Germania riallacceranno rapporti di buona intesa, con rinnovata inquietudine degli Stati Uniti. In fondo il balletto americano oscilla armonicamente, come un pendolo, tra isolazionismo e interventismo.”
Un’altra riflessione che mi pare degna di nota è quella del Professor Piero Di Nepi. Nel nostro guardare quotidiano a “loStatodellecose”, ne è emerso che a forza di sanzioni e rinvii, “è evidente che la Russia ormai mira a una resa incondizionata per tracciare nuovi confini. Non occuperà l’Ucraina storica, non vuole nuove guerriglie.”
Sarebbe stato meglio e per tempo pensare alle conseguenze della Caduta del Muro di Berlino e della disgregazione dell’URSS. Le carte sul tavolo oggi, e sono sempre le stesse, se seguiamo Eraclito, Platone o i tanti pensatori che si sono posti il problema tra guerra e pace, è che c’è sempre un momento in cui la forza del diritto è schiacciata dall’uso della forza e “ormai etica e morale sono azzerate dall’unica morale della guerra: “Vae victis!“.
“ Il decisore di Washington che non intende essere nella partita e, dice Di Nepi, neanche Biden lo voleva essere specie dopo la fuga da Kabul, ha visto un’Europa, autolesionista, e un precipitoso Boris Johnson, extra Ue, accorrere per impedire il rientro dal fatto del 24 febbraio 2022, all’epoca ancora possibile, e del resto, ogni “player”, si pensi anche alla decisione della “Brexit“, gioca una propria partita nel disperato tentativo di rafforzare la sequela di leadership in crisi, è stata la mia risposta.
Resto convinta che di errori ne sono stati fatti tanti: il più grande e ne stiamo pagando le conseguenze, quello di non aver aperto le porte della NATO alla Russia, che è europea tanto quanto l’Ucraina, quando già nel 1994 era entrata nel PfP, Partnership per la Pace, di fatto una specie di “anticamera” per quello che ci sarebbe aspettato poi essere un formale ingresso nell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord.
Tornando quindi ai recenti bombardamenti su Kiev, essi sono la conseguenza della scenografia in cui la Russia è stata indotta a presentarsi nemica, dagli ostacoli eretti al possibile incontro bilaterale con l’Ucraina, e dalla narrazione e invocazione di una “pace giusta”.
La “pace giusta” è tale più che altro nella retorica del vincitore che così la ritiene. Piuttosto c’è un momento in cui la guerra diviene talmente insostenibile che la pace è una necessità atta a fermare le conseguenze drammatiche delle ostilità.
La pace è sempre “inquinata”, basta pensare a Versailles, e le condizioni che portò con sé insostenibili proprio per la Germania che divennero semi del sucessivo secondo conflitto mondiale. Allora più che invocare una pace giusta, che ai miei occhi si sostanzia in un sinonimo/eufemismo per protrarre una guerra a oltranza, la vera sfida sta nell’individuare le condizioni della pace.
Si discute molto il senso dell’incontro in Alaska tra Trump e Putin e di una passerella che avrebbe recato con sé un fallimento per quanto riguarda la questione ucraina. In Alaska invece si è siglato l’inizio di una nuova era di disgelo e dialogo tra Usa e Russia. Lo si è fatto in pompa magna, in una terra venduta proprio dai russi agli americani, non senza quindi valore anche simbolico, in un aeroporto dove erano visibili possenti aerei da combattimento, segno della forza bellica americana, mentre sul red carpet sono apparse cordiali le strette di mano.
Quel che è avvenuto a Anchorage, mi ha ricordato l’incontro per nulla casuale, certo più informale, avvenuto poco prima dell’ inizio dell’“Operazione Speciale” del 24 febbraio 2022, quando Putin era volato in Cina da Xi Jinping, per le Olimpiadi invernali di Pechino. Un incontro singolare perché la Russia era stata esclusa dalle competizioni per doping di stato. Anche quella volta la “passerella” serviva a esplicitare al mondo, se non fosse stato già sufficientemente chiaro, che la Russia e la Cina erano diventati molto più che semplici partner economici e appare plausibile che i due leader avessero affrontato la questione ucraina preliminarmente visti i tanti interessi cinesi anche in quell’area.
E del resto se il Presidente americano non avesse “rilegittimato” il leader russo, rimarrebbe senza senso ogni tentativo dialogo per una pace che proprio Putin dovrebbe indicare, accettare, sottoscrivere. Nello stesso tempo in Alaska è più verosimile che l’Ucraina fosse uno dei tanti capitoli di un mondo che necessita un riordino, in preda al “vortice di un tempo scomposto”, come recita l’aforisma del mio amico Generale.
Naturalmente impensierisce l’Europa che è in grande crisi per una guerra cha ha avuto ab initio e continua a avere risvolti anti-europei, amplificati proprio dall’autolesionismo degli europei stessi.








