EUROPA: NON PIÙ CENTRO GLOBALE, MA SOLO MEDIO-OCCIDENTE
di ANTONIO BETTELLI *
La crisi dell’Occidente è in parte imputabile al fallimento del progetto sociale e federativo europeo.
Il XIX secolo, con l’illuminismo francese e con i moti risorgimentali sfociati nella caduta degli imperi assoluti, segnò la perdita per l’Europa del ruolo di potenza globale. La Grande Guerra, agli esordi del “secolo breve”, il ‘900, ne fu l’atto conclusivo. Caddero in sequenza gli imperi francese, britannico, asburgico, russo e ottomano che di quel potere erano stati, a fasi successive o in forma complementare, i detentori. Nacquero gli Stati nazionali ispirati ai principi liberali coltivati dal Risorgimento, ma il percorso verso la libertà, a dispetto del suo formale compimento, non era ancora terminato. Per contraccolpo, in un’Europa inaridita e immiserita dagli effetti della Grande Guerra, sorsero le dittature. Per giungere alla fine del cammino avviato con la Rivoluzione francese, servì quindi un secondo conflitto, divenuto anch’esso mondiale. In modo paradossale, seppur conforme alle prevalenti logiche di potere alle quali la storia ci aveva abituati, la definizione in chiave nazionale e liberale degli Stati europei coincise con la perdita da parte dell’Europa del ruolo di centralità rispetto ai processi globali. Nuove potenze entravano in scena.
Pur con la rinuncia alla prerogativa di centralità, la nascita di una nuova Europa formata da entità ispirate agli ideali del liberismo democratico offriva finalmente la possibilità di adottare un modello di giustizia sociale tra i popoli che ripudiasse senza remore i gravi pregiudizi liberticidi delle epoche precedenti e che gettasse le basi per la realizzazione dell’“unione perfetta” teorizzata da Mario Bergamo[1]. Nonostante i costi pagati con le guerre del ‘900, accadde, invece, che della nuova costruzione europea venne definito il solo involucro esteriore, cioè la parte economica e commerciale. L’idea che i provvedimenti di comunione economica tra gli Stati potessero determinare efficaci istituzioni politiche, le quali avrebbero dovuto a loro volta edificare gli elementi portanti della struttura sociopolitica europea, si rivelò illusoria.
Ne conseguì un’Europa senz’anima, priva dei caratteri di laicismo e di equità enunciati dai padri risorgimentali prima e dai fondatori dell’Europa comunitaria dopo.
Il Manifesto di Ventotene, che della costruzione europea è l’architrave concettuale, mantiene ancora oggi intatta la sua validità. Nei suoi principi, esso persegue:
- l’equidistanza dell’Europa rispetto ai poli di Occidente e di Oriente;
- la nascita di forze armate europee sostitutive della presenza di numerosi eserciti nazionali;
- un’economia di equilibrio tra la staticità burocratica del socialismo e l’avallo capitalistico per lo sviluppo in forma privata di attività monopolistiche;
- l’impegno a favorire processi di statalizzazione in settori d’interesse vitale per la nazione, quali l’educazione e la sanità;
- il sostegno ai giovani mediante sussidi che riducano al minimo la distanza fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita;
- il ricorso a forme di solidarietà verso coloro che siano soccombenti nel bisogno economico, assicurando tenori di vita decenti senza mortificare lo stimolo al lavoro e al risparmio.
Soprattutto, Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, nei passaggi ontologici del loro documento, delineano una figura di cittadino europeo che non sia più strumento altrui, bensì centro di vita. Non è casuale: la Grande Guerra aveva massificato l’esistenza umana trasformandola in una mostruosa macchina da combattimento, per la cui efficienza le madri erano considerate “fattrici di soldati”. Il secondo conflitto mondiale, in atto nel 1941, quando Rossi e Spinelli elaborarono i principi di una “Europa Libera e Unita”, riproponeva gli stessi scenari.
Il progetto di una casa comune europea costruita sulle fondamenta sociali e di giustizia della visione di Ventotene è dunque fallito. Le differenze di visione tra nord e sud e tra ovest ed est del continente non sono state superate, anzi quei distinguo hanno provocato nuove separazioni tra i popoli. La guerra russo-ucraina, pur con le sue specificità, ne è in qualche misura un indicatore.
Con la mancata realizzazione del progetto federale europeo si è abdicato ai principi etici del Risorgimento, preferendo accomodanti opzioni di natura economico-finanziaria e lasciandosi plagiare dal sogno americano.
Abbiamo barattato la ricchezza dei principi di libertà e di giustizia con i principi della ricchezza. Non siamo quindi stati capaci di creare l’Europa pensata da Mazzini e dai nostri padri.
La responsabilità, tuttavia, non è solo di noi europei. Credo che in parte la svolta unificatrice dell’Europa non sia avvenuta a causa dell’opposta volontà di altri.
Gli Stati Uniti, mentre gli europei si azzuffavano tra loro, sono diventati il nuovo impero, artefice di un Occidente non più centrato sul continente europeo, bensì sull’Oceano Atlantico e sul mercantilismo americano che negli scambi commerciali marittimi trovava e trova ancora oggi la sua principale via di sviluppo.
Assurti al ruolo di potenza globale anche attraverso le tre grandi guerre mondiali ed europee del secolo scorso (vi includo la Guerra Fredda), gli Stati Uniti hanno edulcorato lo spirito dei padri risorgimentali e degli estensori del progetto di un’Europa Libera e Unita. Lo hanno fatto con la ricchezza, perpetrando un contro-progetto divisivo e di conflittualità tra gli Stati del continente.
Gli Stati Uniti, occorre tenerlo a mente, sono un impero che non dichiarerà mai di essere tale, né noi europei, che abbiamo preferito il benessere al rigore morale e sociale sollecitato dai nostri padri, mai ci riconosceremo sudditi di chi quella facile ricchezza ce l’ha capziosamente e non gratuitamente offerta.
Da perno, fulcro, polo, l’Europa si è trasformata in area di mezzo, diventando, appunto, medio-occidente. In ragione di questo nuovo posizionamento, il territorio europeo è oggi zona di separazione tra l’ovest centrato sull’Atlantico e l’est asiatico incardinato sulla potenza economica cinese. Inevitabilmente, esso è uno spazio di sfogo tra i due ridefiniti emisferi globali.
Con il fenomeno espansionistico ed egemonico dell’impero americano, è poi successo che i confini del medio-occidente, tale divenuto, si sono vieppiù spostati ad est, inglobando gli ex paesi satellite dell’Unione Sovietica e parte del territorio del Vicino Oriente di cui Israele, Palestina, Libano e Siria fanno parte.
Sul vasto continente euroasiatico, la frontiera tra ovest ed est si è spinta nel giardino di casa di Mosca, e la Russia, con rinvigorito pretesto, ha affermato la volontà di non rinunciare alla vocazione centralistica ed autocratica che ne connota la storia dai tempi del principato di Mosca. Il fine è di continuare ad assicurare il governo di un territorio multietnico vastissimo e di contenere la pressione geopolitica proveniente, come più volte successo nel corso dei secoli, da Occidente. Analogamente, nello spazio genericamente definito come Medio Oriente, la linea di separazione tra i due emisferi, coincidente in origine con la riva orientale del Mediterraneo, è traslata nell’area del Golfo Persico, dove Arabia Saudita ed Emirati Arabi assolvono l’opera di vassallaggio a favore del potere americano.
Il riposizionamento del baricentro geopolitico tra Occidente e Oriente, con la conseguente marginalità dell’Europa rispetto alle dinamiche decisionali tra est ed ovest, il potere economico sempre più emergente della Cina, l’apertura di nuove rotte marittime a nord del continente a favore di Pechino e dei paesi nordeuropei, la sempre più marcata periferizzazione degli interessi commerciali su percorsi alternativi a quelli eurocentrici e mediterranei, la carenza di risorse naturali, la dipendenza energetica, la corsa all’Artico e il gap tecnologico esteso allo spazio e alla dimensione cibernetica sono alcuni dei fenomeni che denunciano il depauperamento della prerogativa europea rispetto al resto del mondo.
Sta accadendo, ancor più, che gli Stati Uniti, fino a ieri nostro principale referente economico e baluardo difensivo dei principi democratici e libertari dell’Occidente, minacciano di abbandonarci. La visione di Trump e la politica dell’attuale amministrazione statunitense enfatizzano i caratteri del mercantilismo americano: protezionismo, bilancia commerciale attiva, ricorso ai dazi per stimolare la produzione interna e per ostacolare le importazioni, sostegno alle guerre, neocolonialismo. L’impero americano, giunto ai margini più estesi della sua espansione egemonica, teme dunque di perdere il controllo sociale interno e di essere afflitto, sul piano economico e finanziario, dalla sua incapienza produttiva. In tutto ciò, vi è qualcuno che preconizza il crollo degli Stati Uniti per implosione.
A maggior ragione, allora, l’Europa deve riguadagnare il ruolo di autonomia rispetto sia all’est sia all’ovest, ridefinendo la propria unità politica e svincolandosi da dipendenze divenute morbose. Prepararsi dunque a camminare con le proprie gambe, tornando ad essere vero ovest euroasiatico e non più medio-occidente suddito di imperi terzi.
[1] Mario Bergamo (Montebelluna, 8 febbraio 1892 – Parigi, 24 maggio 1963): mazziniano, repubblicano, avvocato, filosofo, poeta, politico e antifascista italiano. Eletto deputato alla Camera del Regno nel 1924, segretario politico del Partito Repubblicano Italiano nel 1926 ed esule in Francia nello stesso anno a seguito dello scioglimento dei partiti politici per decisione del governo fascista di Benito Mussolini.
* Antonio Bettelli: Generale di Corpo d’Armata della Riserva dell’E.I.








