Il malato immaginario e il medico sedicente.
di Antonio Bettelli
(14 febbraio 2025)
L’Europa, più precisamente quella parte di Europa con la quale noi Occidentali siamo soliti identificarci, è una sorta di malato immaginario che da molti anni versa in uno stato di acuto malessere psicosomatico. Un malato che necessita, per il dolore mentale e fisico cui è sottoposto, di periodiche terapie, quelle stesse che per lungo tempo sono state somministrate dal medico prescelto, sedicentemente benevolo e generoso.
Il tutto ha avuto inizio con gli interventi di assistenza dopo le guerre mondiali, con le terapie d’urto per scongiurare il giogo marxista-leninista nel periodo del bipolarismo est-ovest, con i palliativi seducenti e persuasivi del soft power a “stelle e strisce”, con i farmaci dall’effetto placebo-consumistico, con le cure psicologico-capitalistiche che meglio di altre sanno creare intorpidimento mentale, deprivazione delle energie, carenza di assertività, stato di bisogno morale.
Quale modo migliore, d’altronde, per assoggettare il paziente al bisogno di cure se non suscitando in lui uno stato di dipendenza? E come? Dando e togliendo, somministrando e deprivando, perdonando e punendo, ammansendo e abbandonando. Non è terapia né cura, ma solo vizioso condizionamento.
La crisi russo-ucraina, oggi sottoposta a improvvise sollecitazioni dalla politica del neo Presidente Trump, sublima il principio di questa dipendenza. Il tutto con alcuni benefici per lo stakeholder di maggioranza della NATO (il medico sedicente): non solo quello di rendersi indispensabile per l’Europa (il paziente immaginario), condizione peraltro già accaduta da tempo, ma soprattutto quello di vedere massimizzati i propri profitti, perché, in fondo, una buona fetta dell’industria “para-farmaceutica, alias industriale per la difesa” dipende dall’azionista di maggioranza. Lui, il medico sedicente, detiene infatti gran parte delle royalties e dei diritti; lui controlla le licenze; lui è depositario del know-how e dei concetti tecnologici che non condivide con i partner o che condivide solo in parte (poiché condividere un po’ è meglio che non condividere). Oggi, il sedicente medico ha persino la velleità di controllare tutti, e di farlo da remoto, da “grande fratello”, attraverso il monopolio della comunicazione, perseguendo l’egemonia spaziale, con il dominio della finanza.
Com’è stato possibile tutto ciò? Come siamo caduti in questa trappola? Come abbiamo fatto a non accorgercene?
A riguardo, per comprenderne almeno le ragioni, basterebbe leggere alcune delle più autorevoli teorie geopolitiche di inizio ‘900 o analizzare l’evoluzione dei conflitti europei del secolo breve per capire che un’Europa unita, innervata sull’asse franco-germanico o su quello russo-tedesco, non piaceva affatto al medico sedicente. Quella forza di unione europea contrastava con la politica americana di monopolio nel campo terapeutico dei mali globali. Essa non piaceva a chi ben sapeva che da lì a poco, al più tardi alla fine del secondo millennio, avrebbe potuto trasformarsi da aspirante global-power a detentore unilaterale del potere di controllo sul resto del mondo. Spykman, autorevole professore di Yale, teorizzava con il suo Rimland che una robusta alleanza russo-tedesca avrebbe trasformato le coste occidentali europee in un’ideale base di partenza per l’espansione dell’Europa verso gli Stati Uniti attraverso l’Atlantico. Con quella inversione di tendenza rispetto a quanto stabilito dalle linee di forza attuali, queste ultime effetto ineludibile dei fenomeni del secolo scorso, si sarebbe facilmente impiantato il germe del dissesto geopolitico ed economico americano. Gli Stati Uniti sarebbero stati stretti nella morsa dell’influenza europea da est e di quella asiatica da ovest. Inaccettabile! Può sembrare una teoria bizzarra, eccessiva, eppure Spykman con la sua visione, che perfezionava quella preesistente dell’Heartland (definita all’apice del potere imperialistico britannico dall’altrettanto autorevole professore inglese di Oxford McKinder), volle sollecitare il presidente americano, all’epoca Franklin Delano Roosevelt, e risvegliare l’amministrazione di Washington dallo stato di torpore isolazionista formatosi tra i due conflitti del ‘900. La Grande Guerra era terminata da quasi due decenni, con il suo gravoso carico di incompiutezza, e il nazifascismo, con il rafforzo giapponese, palesava i suoi intenti espansionistici.
Se si accetta questa visione, è oggi evidente che la crisi russo-ucraina abbia rappresentato per noi poveri malati immaginari europei la tempesta perfetta in cui far soccombere ogni velleità di indipendenza. Storditi dalla efficacissima medicina dell’ideologismo liberista americano, noi occidentali del Vecchio Continente abbiamo negato sin dai prodromi della crisi (Georgia 2008 e, con maggior evidenza, Crimea 2014) l’esigenza di un equilibrio, nello spazio euroasiatico, del ruolo di Mosca. Tutti sapevano, fin prima di quegli accadimenti, che Ucraina e Georgia erano da considerarsi linee geopolitiche invalicabili, almeno allo stato dell’arte. Ciononostante, abbiamo assecondato le favorevoli cure del medico sedicentemente generoso, favorendone le ingerenze, ricevendo in cambio una persuasiva idea di stabilità (il ricercato stato di scomparsa della malattia) che si è prontamente rivelata prodromica al riapparire del male non appena il medico sedicente abbia deciso di sospendere la terapia.
Come guarire, dunque, senza cadere ulteriormente nell’ingannevole diagnosi e nella terapia palliativa del medico non disinteressato? Non so se vi sia una via certa per la guarigione, ma è possibile che l’adozione di un approccio di disciplina e di rigore abbia il suo valore per scongiurare ancora più gravi dipendenze o finanche il collasso del paziente prostrato. Non mi riferisco ad alcuna austerità economica, l’Europa ha in sé le risorse necessarie, ma a una posizione di matura consapevolezza dello stato in cui ci si trova (e delle sue cause) e di disponibilità a operare rinunce parziali alle proprie prerogative nazionali per il bene collettivo. La Costituzione italiana lo contempla con chiarezza e con forza nei suoi principi. Paradossale dunque che, in un momento in cui si proclama il fallimento della multilateralità degli organismi comunitari, ciò di cui si avrebbe maggiormente bisogno sia invece proprio la rinuncia alle posizioni nazionalistiche e sovraniste così tanto sbandierate. Ben si sa, tuttavia, che non vi è malato più difficile da curare di quello immaginario!








