I CONCETTI INNANZITUTTO
di Antonio Bettelli
Se l’architrave concettuale del progetto occidentale di difesa fosse quello di fronteggiare, contenere e, se necessario, neutralizzare l’imperialismo russo, è evidente che occorrerebbe dotarsi al più presto di una capacità militare poderosa, fosse anche solo per dissuadere Mosca dall’intento di perpetrare le proprie mosse per il ripristino sullo scacchiere euroasiatico del controllo non solo del Donbass e della Crimea, ma anche dell’intera Ucraina, della Georgia, della Moldavia, dell’Armenia, della Finlandia, dei Baltici e degli ex satelliti sovietici oggi inquadrati tra le fila della NATO, tanto a ovest quanto a sud del vasto territorio della grande madre Russia. Se poi il rapporto di forze calcolato alla luce di tali mire espansionistiche riguardasse il confronto con un apparato militare in grado di sfoderare attacchi simultanei tanto nell’emiciclo artico, quanto sul frontline continentale europeo, dalla Finlandia alla Turchia, quanto nelle retrovie europee fino a raggiungere la costa atlantica, per poi interessare le linee di comunicazione marittime dell’Atlantico, così come il passaggio di nord-ovest tra Groenlandia, Islanda e UK, ma anche le strettoie acquee di Bosforo e di Dardanelli, per estendere infine l’aggressione al Mediterraneo e alle coste nordafricane e del vicino oriente, allora servirebbe molto più del concordato 2% dei bilanci dei paesi membri della NATO, non basterebbe neppure lo sbandierato 5%, che a pensarci bene è una follia.
Non casualmente, seppur provocatoriamente, faccio riferimento a questo ipotetico scenario, poiché è proprio la strategia della NATO, ridefinita nel 2019, che paventa un quadro di situazione di tale ampiezza. Non sto esagerando, è proprio così, ed è anche questo presupposto, avallato nel consesso consiliare della NATO ai più alti livelli e nei periodici summit tra i ministri e i capi di stato delle nazioni, che ha contribuito a spiralizzare la crisi portandola oggi a estreme conseguenze. Il giovamento di tale scenario è, si sa, ad appannaggio degli apparati industriali bellici, appaga il desiderio di considerazione degli establishment militari, spesso frustrati per la scarsa considerazione loro dedicata dai governi e dall’opinione pubblica, giustifica l’esistenza e il rinnovamento di istituti ridondanti, fatti di centinaia di tecnocrati, politici, opinionisti, esperti di settore, consulenti, strateghi, delegati, informatori ecc.
Sovvengono alcune domande. L’aggressione all’Ucraina, in palese violazione delle norme di diritto internazionale e dei principi di rispetto della vita e della dignità umana, è forse la punta dell’iceberg della poderosa macchina bellica russa? Putin è come Hitler? L’annessione di Donbass e Crimea sono il prologo di una devastante blietzkrieg sul territorio europeo, fino a raggiungere Parigi?
Poiché penso che non sia così, ritengo allora che prima di parlare di Difesa Europea, ancor più sollecitati dal raggelante colloquio andato in scena a Whashington tra Trump e Zelensky, sarebbe importante ridefinire i concetti su cui incardinare un progetto credibile e sostenibile per il futuro della sicurezza europea. Innanzitutto vi è la NATO, cui noi italiani abbiamo aderito come Stato fondatore dopo la tragedia del secondo conflitto mondiale. La NATO ha preservato la sicurezza in Europa negli anni del confronto bipolare tra Oriente e Occidente, ha senz’altro contribuito a sottrarci dalle mire sovietiche spalancandoci le porte di un benessere diffuso basato tanto sulla libertà quanto sul capitalismo, ammansendoci alle logiche di un consumismo il cui peso, figurativamente rappresentabile con un dollaro gigantesco, si è rivelato migliore di quello esercitato dai cingoli dei carri armati sovietici entrati a Praga e a Budapest. Certo, la dimensione del confronto ibrido degli anni di piombo, del terrorismo, delle stragi di stato, in parte anche della mafia, ha avuto il suo gravame sulla nostra società, ma è stato pur sempre un male minore rispetto a quello subito dai paesi dell’Europa Centrale sviliti dal giogo della dittatura sovietica. Poi la NATO ha perduto il suo azimut e ha vagato rischiando di compromettersi tra nuove ipotesi d’impiego, queste ultime concretizzatasi in alcune delle più incerte avventure oltre i confini territoriali dell’Alleanza: l’Afghanistan è forse il caso limite più rappresentativo di questa fase d’incertezza durata circa un trentennio. Si era persino paventato un appeasement definitivo con Mosca, fatto di solide forme di partenariato, ventilando finanche un’adesione della Russia a una versione iper futuristica dell’Alleanza. Poi Georgia 2008, poi Crimea 2014, poi Ucraina 2022! Punto e a capo: tutti nuovamente al “via” del grande monopoli planetario. Veniamo ai concetti fondanti e ripartiamo dunque dalla NATO, che è l’unica certezza che abbiamo. Alla luce di quanto accaduto, chiediamo a Washington che intenzioni abbia. Se da questa richiesta dovessero poi palesarsi delle lacune, provocate dalla sottrazione di capacità statunitensi, allora ragioniamo su quali dovrebbero essere i rimedi da porre in essere con urgenza. Al di fuori di questa forse doverosa e a mio avviso unica prospettiva, ogni altra via è incerta, illusoria e forse anche pericolosa.
E l’Ucraina? Vorrei non dirlo, ma temo che l’Ucraina sia la parte soccombente di un confronto che andava evitato fintanto che era possibile farlo. Dopo l’abiura di Washington, non molto dissimile da quella andata in scena con l’Afghanistan previo accordo con i Talebani, ignorando ogni singola posizione dei partner NATO, l’Europa dovrebbe spendersi per contribuire a un armistizio che minimizzi le perdite per Kyiv. Insomma una pace non più definibile giusta, mai stata realmente perseguibile in tale forma idealistica (avrebbe potuto essere realistica se si fosse stati disposti a combattere e a morire al fianco degli Ucraini), ma una pace conveniente o, se si preferisce, meno sconveniente possibile. Un punto armistiziale da cui ripartire senza addivenire a peggiori conseguenze, non solo per Kyiv, ma anche per noi.








