IL MEDIO-OCCIDENTE ALL’IMPASSE
di Antonio Bettelli
Per quanto desolante sia la realtà dal punto di osservazione dell’Occidente, è necessario riconoscere – “the sooner, the better” come direbbero gli anglosassoni – che la guerra tra Mosca e Kyiv sta determinando, come sempre accade nei conflitti all’approssimarsi del loro temine, la parte soccombente.
Poiché la guerra finisce quando una delle parti in lotta non ha più possibilità di vittoria, il ritiro del supporto statunitense sancisce la non sostenibilità del conflitto da parte dell’Ucraina e crea così le premesse per risolvere il conflitto. A non molto servono gli incongruenti tentativi di alcune capitali europee riunitesi a Londra per compensare il vuoto creato da Washington e per mantenere lo stato di crisi e di conflitto. Oltre a sussistere posizioni diverse, l’impegno pronunciato al termine dell’incontro si è limitato a scarne dichiarazioni di principio, divergenti rispetto alla realtà in divenire, inefficaci, persino, nel consolare Zelensky e con lui l’Ucraina.
Per gli Stati Uniti il coinvolgimento bellico è stato finora speso su diversi fronti: non solo denaro, ma anche assetti riguardanti le dimensioni militari: terrestre, marittima, aerea, spaziale, cibernetica, cognitiva. La decisione di Washington di non impiegare proprie unità militari in modo diretto era ed è salvaguardata dalla naturale distanza geografica tra i continenti. Lo stesso paradigma di tutela non vale per le nazioni europee la cui vicinanza, vis a vis i confini della nuova cortina tra est e ovest, rende possibile e non improbabile un coinvolgimento militare diretto. A parziale consolazione, credo di potere dire che la NATO, armonizzata nei suoi rapporti dalla formula del mutuo soccorso, ben distingua la differenza tra “aggressione deliberata” e “incidente di confine”, e che con eguale attenzione consideri, tra i fattori circostanziali per l’applicazione dei propri piani militari, il verificarsi di situazioni di miscalculation. La possibilità di spiralizzazione della crisi rimane in ogni caso un’ipotesi non remota.
Con quanto accaduto nelle ultime ore è poi doveroso porsi la domanda, di tutt’altra natura rispetto ai quesiti riguardanti la sicurezza dell’Ucraina, se la NATO abbia ancora la propria efficacia nel garantire capacità di risposta a un’aggressione deliberatamente portata a uno dei suoi Stati membri.
In tutto ciò, serve, pertanto, chiarezza, ed è importante evitare di reiterare espressioni retoriche sul significato di libertà, di democrazia, di valori dell’Occidente, di resistenza alle autocrazie e di sconfitta degli imperialismi. Espressioni che hanno connotato lo sforzo dell’Occidente europeo negli ultimi tre anni, seppur con sfumature diverse tra chi sia intervenuto a sostegno di Kyiv. Teniamo buoni i principi definiti dai nostri padri europei per noi stessi; usiamoli come elemento regolatore negli ambiti di responsabilità sociale e politica del nostro Paese; ribadiamoli quale riferimento etico per la disciplina delle relazioni all’interno dello spazio di autorità del nostro Stato. Riguardo alle esigenze del conflitto russo-ucraino, rapidamente mutate con il cambio di comando nell’amministrazione statunitense, assumiamo invece le vesti di chi voglia dare una mano, e facciamolo con pragmatismo e con senso della realtà. Il medico pietoso rende la piaga purulenta, dice il detto; adesso servono interventi guidati da mano ferma, schietti nel dichiarare diagnosi e terapia, autorevoli nel concorrere a somministrare la cura possibile e auspicabilmente efficace.
Nella definizione di una possibile via, è inoltre bene formulare qualche considerazione sul valore di vittoria e di sconfitta, poiché la linea di separazione tra le due condizioni non è sempre marcata in modo perentorio. Nella storia dei conflitti, vi sono state débâcle sul piano strategico militare che si sono rivelate vittorie su quello politico, e viceversa. Atteso, poi, che vittoria e sconfitta sono per le parti in lotta la definizione di un compromesso tra obiettivi prefissati all’insorgere del conflitto e traguardi raggiunti (o mancati), è solo intorno alla delicata equazione di bilanciamento tra costi e benefici che la diplomazia e la politica hanno il dovere di annodare i fili di un possibile accordo: un compromesso che, scevro di fuorvianti visioni idealistiche, apponga il sigillo sulla fine del conflitto.
Credo che per troppo tempo si siano accostate e poste sullo stesso piano le esigenze di sicurezza dell’Europa e quelle dell’Ucraina. Occorre allora separare le due dimensioni. Innanzitutto è bene specificare che cosa s’intenda per Europa. È forse l’unione dei ventisette? Lo spazio continentale compreso tra mari del nord, Oceano Atlantico, Mar Mediterraneo e Mar Nero? L’insieme dei paesi europei aderenti alla NATO? L’Europa rappresentativa dei valori dell’Occidente?
La geometria variabile di questo consesso non aiuta a circoscrivere l’ambito della discussione, né ci agevola nel definire uno spazio politico formale che rappresenti l’Europa a un ipotetico tavolo di dialogo e di confronto. Il rischio è allora quello che si continui ad agire per reazione scomposta e non per azione determinata e voluta, e che lo si faccia non solo perché sia assente una definita base formale, non solo perché il potere contrattuale sia limitato dagli scarsi mezzi disponibili, ma soprattutto perché manca una sostanziale comunione di intenti. Il protagonismo di Londra e di Parigi si sovrappone all’attendismo occidentalista di altre autorevoli Capitali, tra cui la nostra, ma anche alla vis combattiva di alcuni Stati di prossimità geografica con la Russia – Estonia e Polonia in primis – e alla deliberata flemma di posizioni più inclini a Mosca, in particolare ungheresi e slovacchi. Insomma il Medio Occidente debellato nel secolo breve dai conflitti mondiali e dalla guerra fredda, ammansito al consumismo capitalistico americano, viziato dal suadente potere persuasivo della libertà e allargato a realtà geografiche aliene è, adesso, all’impasse. La formula storica del “divide et impera” ha raggiunto con il conflitto in Ucraina la sua apoteosi celebrativa. Difficilissimo uscirne.
Da dove incominciare? Una ridefinizione del Patto Atlantico è innanzitutto necessaria per comprendere fino a che punto l’Alleanza abbia ancora ragion d’essere, poiché è evidente che un’uscita di scena USA annullerebbe il presupposto esistenziale della NATO, cioè il trans-atlantismo delle due sponde dell’Oceano. Per differenza, dedotta sulla base della risposta che solo Washington può fornire, occorrerebbe poi procedere per riempire gli eventuali spazi vuoti generati dal ritiro, totale o parziale, dell’alleato maggioritario. Dopo avere colmato i vuoti essenziali, e in qualche modo riacquisita dignità e capacità per un possibile confronto dialettico, occorrerebbe infine riappropriarsi del ruolo di rassicurazione delle parti, di entrambe, cioè tanto dell’Ucraina quanto della Russia. Nell’equidistanza, difficilissima da riguadagnare, sta infatti la credibilità.
In questo vi è il possibile argomento della sicurezza dell’Ucraina, meglio – poiché già così s’intende – dell’Ucraina sottratta delle quattro province orientali e della Crimea. Solo nella riacquisita credibilità del ruolo di mediazione vi è margine per una soluzione europea che sia per Kyiv motivo di accettabile compensazione per la sconfitta subita e per Mosca occasione per riguadagnare una posizione riconosciuta nello spazio europeo di cui la Russia, a occidente degli Urali, è parte.
Gli Stati Uniti, i nostri grandi alleati, a quest’ultimo aspetto hanno già provveduto.








