UNA NATO-NON NATO PER RIPORTARE ORDINE E DARE SPERANZA IN UNA TERRA MARTORIATA, L’AFGHANISTAN
di ANTONIO BETTELLI
Col tempo un’analisi approfondita sugli errori commessi in Afghanistan sarà forse condotta. Se così accadrà, la disamina non si limiterà al bilancio sociale sui costi e sui benefici pagati e ottenuti oppure ai strazianti reportage sulla condizione delle donne e dei bambini. Seppur drammaticamente vera, una simile analisi rischierebbe ancora una volta di offuscare i giudizi stimolando solamente il lato emotivo del nostro cervello così tanto edulcorato dal benessere degli ultimi decenni.
Non servirebbe neppure ricordare che l’Afghanistan tornerà a essere la fucina del terrorismo internazionale ai danni dell’Occidente oppure la sorgente primaria del traffico planetario di oppio. Nell’auspicato processo di analisi- critica sugli errori, queste due affermazioni fino all’ultimo sono state il leitmotiv in parte pretestuoso usato dall’Occidente per continuare a esasperare una presenza militare ormai completamente dissociata dalle motivazioni originarie del post 11 settembre.
Riguardo alla prima affermazione, Afghanistan=Safe Haven del terrorismo internazionale ai danni dell’Occidente, è pur vero che l’Europa non sapeva cosa fosse il terrorismo di natura islamista prima della sventurata campagna militare irachena del 2003 capitanata dall’Amministrazione Bush figlio. L’Europa aveva sì conosciuto il terrorismo domestico degli anni ‘70, ma a pensarci bene questo altro non era che uno degli effetti della guerra ibrida che proprio Stati Uniti e Unione Sovietica avevano cinicamente deciso di combattere sui territori di Francia, Spagna, Italia e Germania. Riguardo all’oppio e alla constatazione che l’Afghanistan ne sia il deposito mondiale occorre tristemente costatare che il fenomeno non è mai stato disturbato dal ventennale intervento internazionale, anzi ne ha tratto vigore conoscendo una flessione dei volumi prodotti solo quando i quantitativi erano così alti da inflazionarne il valore sui mercati mondiali.
Quando poi l’amministrazione americana ha deciso, nel 2018 e con il puntale avallo della NATO, di lanciare una campagna aerea contro il narcotraffico in Afghanistan (guarda caso coincidente con la chiusura dei teatri iracheno e siriano), facendo ritornare i volumi di fuoco rilasciati dai bombardieri USA ai valori del surge di Obama del 2011, i rapporti dell’agenzia delle Nazioni Unite sul mercato mondiale di sostanze stupefacenti relazionavano sui proventi derivanti dalla produzione e dalla distribuzione di un chilogrammo di oppio afghano nel mondo. Quei rapporti dicevano che nel 2018 il contadino afghano ricavava 150 dollari per chilogrammo, mentre lo stesso quantitativo di droga di dollari ne portava 3500 al narcotrafficante locale, diciamo talebano, e infine le Nazioni Unite dichiaravano che il valore dell’arricchimento saliva a 45000 dollari per chilogrammo a vantaggio dei narcotrafficanti europeo o statunitense.
Ecco allora che lo scarico di bombe nelle zone rurali dell’Afghanistan, a danno di qualche modesta corte agricola familiare arredata di nulla ma sicuramente di qualche rudimentale bollitore per il trattamento dell’oppio (con una sproporzione spaventosa di tecnologia tra strumento di offesa e obiettivo) altro non faceva che eradicare la pressoché unica fonte di sostentamento del sottoproletariato agricolo locale, intaccando in modo irrisorio il ricchissimo mercato dei Signori della droga dell’Occidente. Fin troppo facile sarebbe infine rammentare il fenomeno del mercato immobiliare negli Emirati caduto in buona parte in mano a compratori afgani con i soldi dei programmi internazionali di sostegno al popolo afgano.
A ciò si aggiunge l’evidente inefficacia dell’addestramento a favore delle forze armate e di sicurezza afgane, ad appannaggio quasi esclusivo delle forze speciali che replicando i loro omologhi americani ed europei altro non facevano che allungare la portata dello strumento letale di precisione per colpire, insieme ai dynamic strike dei droni americani, i capi Talebani o gli esponenti dell’Isis del Korasan. Questi ultimi, seppur ammazzati mentre rispondevano al telefono dal missile di precisone pilotato da qualche sede militare negli Stati Uniti, continuavano a moltiplicarsi a dozzine come se nulla fosse successo. Mentre tutto ciò accadeva, spesso con immotivati trionfalismi sull’efficacia del Training, Advice and Assist occidentale, la massa dell’Esercito afgano e delle forse di polizia continuava a essere massacrata negli avamposti statici delle valli semi desertiche, raggiungendo il 40% di perdite tra uccisioni e defezioni.
Bastano queste poche considerazioni per comprendere quanto grande sia il fallimento dell’Occidente in Afghanistan. Anche quest’analisi, tuttavia, non basterebbe. Le cause rimarrebbero infatti nascoste dietro a queste constatazioni e occorrerebbe tanta coscienza e tanta onestà intellettuale per farle emergere. Le cause sono etiche e morali. Le cause risiedono nei fini non dichiarati statunitensi, nella pavidità delle diplomazie nazionali in seno ai consessi internazionali, nel florido mercato delle industrie belliche, nelle burocrazie farraginose e ben pagate delle Alleanze occidentali, nelle logiche d’interesse del mondo a Ovest che vorrebbe portare la democrazia in Oriente senza rinunciare a nulla, proprio a nulla, della propria ricchezza e del proprio potere!
Certo, dopo l’11 settembre tutto l’Occidente si è sentito ferito al cuore e, invocato senza precedenti l’articolo V del Trattato del Nord Atlantico, ha dato vita alla sua missione politico-diplomatica e militare nel martoriato Paese asiatico dove già l’Inghilterra prima e la Russia poi avevano fallito.
“Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”, tuona drammaticamente vero.
I media di tutto il mondo rimandano in queste ore foto, interviste, video di quello che era un risultato scontato e tutto suona di una ipocrisia incredibile.
Ed era anche più prevedibile che la Cina che condivide un esiguo confine con l’Afghanistan, solo 47 miglia, ambisse a legami più stretti con Kabul, ingolosita anche dalle grandi risorse minerarie no sfruttate di quella terra: rame, litio, marmo, oro e uranio. Una ricchezza che supera oltre 1 trilione di dollari.
Forse l’unica vera soluzione per l’Afghanistan è una Nato senza gli Americani.
Un paradosso provocatorio!
Può esistere una Nato senza gli Americani?
Del resto è arcinoto che gli Usa sono distratti altrove nel sud est asiatico dove si giocherà il prossimo scontro militare tra potenze.
Una Nato a trazione Turca, una Nato non anglosassone, una NATO con anima sud- europea, latina e mediterranea, insomma una NATO- non NATO, forse sarebbe l’unica che possa farsi davvero guardiano e argine costruttivo di questa regione.
Si potrebbe configurare almeno in Afghanistan in partenariato con la Russia, un triangolo Sud-Europa, Turchia e Russia.
Gli USA in fondo non hanno mai capito, o hanno finto di non capire, che i Talebani sono Afghani, godono il consenso della popolazione divenuto anche più ampio proprio dopo 20 anni di incomprensibili sofferenze impartite proprio dagli americani a quella popolazione.
In pochi giorni è crollato tutto. Ed è un po’ come il crollo delle torri gemelle che nessuno ipotizzava, forse neppure gli aggressori!
Gli americani si sono mossi con quella arroganza che è di per sé stessa negazione dei principi democratici di cui vorrebbero farsi portatori. In Afghanistan sono stati tollerati solo da quella minoranza che si arricchiva con i soldi dell’Occidente, tra cui il governo Ghani, a libro paga americano.
L’indotto cittadino ha portato un po’ di benessere e qualche opportunità variamente distribuita nella catena sociale, ma i più soffrivano e la gente ammazzata nelle zone rurali ha accumulato solo il desiderio di riscatto oggi proposto dai Talebani.
Il principio di democrazia se non si accompagna a quello di giustizia per le genti, non porta pace, prosperità nè libertà, lo sanno bene, innanzitutto la parte più fragile della popolazione: a Kabul stanno facendo la lista delle donne single e delle minorenni che vengono ridotte in schiavitù.
Le stelle e strisce stanno a guardare ….








