Centro Studi MB2

Monte Bianco-Mario Bergamo, per dare un tetto all’Europa ETS

SI VIS PACEM di Antonio Bettelli

Antonio Bettelli

E’ comune defetto degli uomini non fare conto -nella bonaccia- della tempesta.

Niccolò Machiavelli, Il principe, XXIV

Dal Coordinamento Scientifico del Centro di Analisi Politica e Geopolitica “loStatodellecose®

SI VIS PACEM di Antonio Bettelli

Le parole della pace sono spesso velate da utopia; la pace, in ogni caso, rimane l’unica ricerca possibile, e mai si dovrebbe giungere al paradosso di evocare la guerra come via per porre fine ai conflitti e alle controversie tra Stati. Secondo il nostro ordinamento, la guerra è atto di difesa. Lo recita l’articolo 11 dalla Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali […]”. Ciò significa che lo Stato italiano è, nei suoi principi, incline alla pace. Seppur preparato alla difesa di popolo e di territorio, esso deve sapersi ergere a paladino della non belligeranza.

Ho sempre pensato che la Difesa nazionale sia materia così complessa da esigere sensibilità di altissimo profilo in chi abbia la responsabilità politica e di gestione dello strumento militare. Poiché si tratta di un tema esposto alla dicotomia tra esigenze reali e percezione di queste ultime, è a chi governa che spetta il compito di assicurare allo strumento militare la disponibilità degli equipaggiamenti necessari e il perseguimento della preparazione, anche morale, dei comandanti, dei soldati e delle unità.

I due aspetti, materiale e morale, hanno un vincolo di reciprocità: a poco servirebbe disporre di materiali adeguati alle esigenze d’impiego senza la congrua consistenza morale di donne e uomini in uniforme, così come la mera etica del servizio non assicurerebbe l’assolvimento dei compiti militari in assenza di adeguate risorse.

Emblematico è il recente e tardivo appello del Capo di Stato Maggiore della Difesa a sostegno dei reclutamenti. L’effetto collaterale di simili richiami è quello di agevolare scomposte reazioni da parte di chi manifesti il pacifismo più ideologizzato. Il pacifismo, quello vero, dovrebbe esprimersi attraverso le decisioni della politica di governo, molto meno con le parziali rimostranze popolari. Va aggiunto che per dualità militarista anche gli appelli al pericolo della guerra potrebbero celare una strumentale matrice ideologica.

Per individuare le giuste decisioni, occorre quindi rispettare i principi della Costituzione e non omettere l’evidenza per la quale non tutte le Nazioni hanno a fondamento della loro politica militare il principio di non belligeranza. Vi sono ordinamenti di Stati alleati che ammettono l’uso della forza militare in conformità a criteri di sicurezza estesa, ovunque e finanche a scopo preventivo. Allinearci senza spirito critico con quelle posizioni sarebbe una grave omissione, etica e di diritto.

Occorre allora fare chiarezza, serve la visione illuminata della politica più alta evocata dai principi costituzionali, occorre fermezza nel non cedere al richiamo di popoli orientati al confronto militare.

Vi sono gli accordi internazionali, è vero, ma essi sono stati ratificati dall’Italia per principio difensivo.

A noi italiani spetta il dovere di avvalorare i vincoli di Alleanza: non per la guerra, per la pace!